Ordine Scarlatto - Gilda italiana Neverwinter [PC]

Il castello di Never

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cuddix
view post Posted on 11/8/2017, 13:20




Ciao Scarlatti,
la vena letteraria aperta da Ikram mi ha fatto tornare la voglia di scrivere dopo un po' di anni. Così durante le vacanze estive ho avuto modo di buttare giù una storia a cui pensavo da tempo e che prende spunto da una delle mie prime incursioni al Castello di Never.
Molti personaggi sono inventati, ma qualcuno è riconoscibile e comunque tutti sono ispirati dai piacevoli momenti di gioco trascorsi insieme a voi. Spero che la cosa non vi dispiaccia.
Raf, alias Jane Storm (e sempre più spesso, Blay Drunner).


La locanda del Cinghiale Zoppo aveva avuto tempi migliori. Il villaggio di Daggerford era l’ultimo avamposto civile sulla strada che collegava Neverwinter a Baldur’s Gate e quando Baruk Grillmaster l’aveva fondata una decina di anni prima, la locanda era il punto di sosta obbligato per tutte le carovane di mercanti che facevano la spola tra le due città. Ma ormai la via di terra era diventata troppo pericolosa e i mercanti preferivano viaggiare per nave per evitare le incursioni dei Troll provenienti dalla vicina foresta di Trollbark.
La locanda aveva perso così gran parte dei suoi clienti e Baruk aveva dovuto industriarsi per rimpinguare gli incassi. La parlantina non gli mancava e gli aveva permesso di mettere in piedi un lucroso contrabbando di pellicce con gli stessi Troll in cambio di qualche barile di birra inacidita. Il Cinghiale Zoppo rimaneva comunque aperto, un po’ come facciata per dissimulare i suoi traffici non proprio legali, un po’ perché era un’occasione per scambiare due chiacchiere con i pochi clienti che ancora capitavano da quelle parti.

Peccato che quella sera ci fosse un solo cliente e per di più non molto loquace. Continuava a sorseggiare lentamente la sua birra senza dire una parola e ogni tanto rispondeva con un cenno del capo ai vari tentativi di Baruk di attaccare bottone. Indossava un ampio mantello con un cappuccio che gli copriva quasi completamente il volto e l’unica cosa che si riusciva a vedere erano i suoi stivali di ottima fattura, segno che almeno aveva i soldi per pagare la sua consumazione.

All’ improvviso la porta della locanda si aprì e il silenzio della sala fu rotto dal vociare allegro di un gruppo di viandanti in arrivo. “Buona sera oste, siamo in cinque e abbiamo tutti una fame da Troll” esordì in tono gioviale un giovane alto e muscoloso. “E sete, tanta sete. Mi raccomando, non dimenticarti la birra”, aggiunse un nano dalla lunga barba rossa.
“Benvenuti miei signori, accomodatevi” gongolò Baruk avviandosi verso la cucina, da cui ritornò in fretta con cinque grandi boccali. “In attesa del vostro cinghiale arrosto, assaggiate la mia birra: è la migliore della zona e arriva direttamente dalle cantine di Waterdeep. Se posso permettermi, cosa porta lorsignori da queste parti?”.

Il giovane non si fece pregare: “Il mio nome è Gortan, figlio di Skeldor, maestro di spada. E questi sono i miei compagni Durin, Gerta, Philos e Ikar, con il suo inseparabile gatto nero”. Poi, strizzando un occhio aggiunse in tono confidenziale “Siamo avventurieri!”.
“Non si era capito”, pensò tra sé Baruk che di gente come quella ne aveva già vista tanta, gente pronta a menare le mani, un po’ per soldi, un po’ per gusto. Gente che non morirà certo di vecchiaia.
“Già”, continuò Durin il nano. “Siamo diretti a Neverwinter”.
“Per tutti i troll, ne avete di strada da fare! Ma certamente cavalieri del vostro rango avranno dei buoni cavalli” fece Baruk.
“Ah si, di questo puoi starne certo!” rispose Durin. “Pensa che abbiamo appena vinto un branco di lumacone al Festival Estivo, sono il massimo della moda in fatto di cavalcature. Sono più veloci e anche più comode di qualsiasi cavallo. Comunque oste, qui la birra è già finita, portacene un’altra”.
“E portane una anche per il nostro amico laggiù, voglio fare un brindisi di buon augurio per la nostra prossima impresa” concluse Gortan.

Lo sconosciuto si voltò verso il gruppo di avventurieri e si esibì in un loquace cenno di ringraziamento con il capo. Il cappuccio scivolò via dal capo, rivelando una chioma dorata di inequivocabile origine elfica.

“Ah, ma il nostro amico è una femmina!” esclamò Durin sorpreso. “E che ci fa una donzella indifesa in questi posti selvaggi? Per la barba di Bruenor, sarà meglio che ti metta sotto la nostra protezione se non vuoi essere mangiata viva dai Troll”.
“Tranquillo Durin, la donzella è tutt’ altro che indifesa, esclamò Ikar mentre accarezzava pigramente il gatto che si era accoccolato sul tavolo accanto a lei. La sua corazza di morbido cuoio nero era aderente come una seconda pelle e il micidiale pugnale che sporgeva dalla cintura dichiarava chiaramente il suo mestiere di assassina. “Mia signora, se non ho riconosciuto male lo stemma, tu devi essere un cavaliere dell’Ordine Scarlatto. Una maga dell’Ordine, oserei dire”.

Il vociare allegro della comitiva di avventurieri si spense improvvisamente. L’Ordine Scarlatto era conosciuto come una gilda d’elite, che accoglieva al suo interno avventurieri di grande valore e lealtà e il suo nome incuteva in tutti rispetto e spesso anche timore. La maga non disse una parola, ma sorrise facendo un cenno d’assenso per confermare l’intuizione dell’assassina.

“Ah, che onore, che onore stasera”, gongolò il vecchio Baruk che nel frattempo era ritornato con l’altro giro di birre. “Una brigata di avventurieri di prim’ ordine come non se ne vedeva da anni qui a Daggerford, non vedo l’ora di raccontarlo domani al sergente della guarnigione!”.

“Bene allora, brindiamo alla nostra prossima impresa” proclamò capo Gortan. “Siamo diretti al castello di Never alla ricerca della mitica bacchetta degli Orcus”.
“Hurra” risposero gli altri, e tutti si diedero da fare per dare fondo al proprio boccale.

Anche la maga bevve un lungo sorso e improvvisamente la bruciatura alla mano cominciò a scottare e a pulsare, come se fosse infetta. Poi i ricordi presero il sopravvento.

La bacchetta degli Orcus, un talismano ambito da tutti gli avventurieri per l’enorme potere che conferiva al suo possessore. Un potere troppo grande per una persona sola e per questo motivo pochi mesi prima l’Ordine Scarlatto aveva preparato una squadra per recuperare il manufatto dal castello di Never e metterlo al sicuro. Il gruppo era formato da Jord il rogue, Halina il clerico, Myra il guardiano, Donna la guerriera e Orin lo scassinatore, la cui capacità (alcuni invidiosi dicevano fortuna) di aprire forzieri non aveva eguali in tutta Faerun. E infine lei, Jena, figlia degli Elfi di Myth Drannor e maga della Tempesta Magica.

Il viaggio era stato abbastanza tranquillo, a parte un paio di scaramucce con saccheggiatori Goblin che avevano scambiato i nostri eroi per semplici viandanti. Una volta giunti a destinazione, Donna rimase fuori dalle mura per guardare i cavalli e gli altri si addentrarono nei sotterranei del castello. Esplorare quel luogo non è cosa da poco: dietro ogni porta, dietro ogni angolo buio può esserci in agguato un Berung o peggio ancora un Balrog pronto a sbudellarti, per non parlare dei portali che si aprono improvvisamente per vomitare stuoli di zombie affamati. Ma erano un gruppo esperto e si erano fatti strada a suon di lame e di folgori giù fino ad una grande cripta dove avevano dovuto affrontare un micidiale Mind Flayer.

Nella foga della battaglia Jena aveva finito per avvicinarsi troppo al mostro ed era rimasta quasi impietrita dal suo sguardo ipnotico, solo Halina l’aveva salvata lanciando una sequenza martellante di sigilli astrali che avevano rotto l’incantesimo un attimo prima che il mostro le friggesse definitivamente il cervello. Jena si era ripresa e aveva rovesciato sul Flayer una valanga di gelo improvviso che lo aveva trasformato in una statua di ghiaccio. E Myra l’aveva mandata in frantumi con un solo fendente della sua spada.
Esaminando attentamente la cripta, Jena e i suoi compagni avevano scoperto l’entrata segreta che portava ad una grande sala. In un angolo, troneggiava un enorme forziere che Orin aveva scassinato rapidamente, come sempre. Dentro, protetta da una teca di cristallo, la bacchetta degli Orcus emetteva sinistri bagliori verdastri come se fosse viva e per niente contenta di essere stata recuperata.

Appena Jena l’aveva afferrata, nella stanza era risuonato un ruggito spaventoso e un enorme demone apparve dal nulla. Era un Orcus, trasportato improvvisamente nel mondo materiale dalla bacchetta a cui era legato. Jena e i suoi amici non si erano persi d’animo e avevano accerchiato il gigantesco demone cercando di rispedirlo all’ inferno da cui era venuto, ma le loro armi sembravano solo scalfire la sua pellaccia. In compenso il martello dell’ Orcus menava colpi così tremendi che i cinque non poterono fare altro che trovare riparo dietro lo scudo di Myra.

Orin aveva tentato una sortita, assumendo la sua forma furtiva per riapparire alle spalle del mostro e piazzargli una tremenda stoccata al fianco. L’Orcus aveva accusato il colpo e aveva ruggito di dolore, ma prima che gli altri potessero approfittarne, una sfera assassina si era materializzata alle spalle dello scassinatore. Durante la preparazione della missione Mirlan, Gran Maestro dell’Ordine aveva accennato a questa possibilità ed era stato molto chiaro: “Le sfere assassine sono un micidiale meccanismo di difesa creato dai fondatori del castello. Sono frutto di una magia antica e sconosciuta e si riconoscono dalla loro luce verdastra. Se una sfera vi sfiora prosciugherà la vostra essenza vitale in pochi secondi, quindi se ne incontrate una l’unica cosa da fare è fuggire”.

Jena aveva lanciato un urlo di avvertimento, ma quando Orin si era reso conto del pericolo era troppo tardi. Nel suo sguardo la maga non vide paura, solo una sorpresa quasi divertita di fronte alla rivelazione della morte. E poi più nulla.
Non c’era tempo da perdere e tutti erano fuggiti rapidamente verso l’entrata, che però era bloccata. Erano corsi allora dalla parte opposta della sala, dove trovarono riparo in un anfratto della parete che riusciva a stento a contenerli tutti. Avevano il morale a pezzi e cercarono di riprendere le forze prima di decidere il da farsi, ma la morte di Orin e il brontolio continuo del demone che si aggirava dall’ altra parte del muro non davano tregua.

Dopo più di tre ore in quello stato nessuno aveva voglia di prendere l’iniziativa. All’ improvviso un’ombra si staccò dal muro avanzando verso di loro: era Donna. “Finalmente vi ho trovati, non tornavate più! Ma che succede?”. Myra le raccontò rapidamente l’accaduto, poi chiese se c’erano altre vie di fuga.
“Temo di no, disse Donna. “Sono riuscita a passare a stento da un cunicolo, che però è franato subito dopo”.

“Moriremo come topi in trappola” fece Jord.
Per un po’ nessuno osò replicare, poi Donna si rialzò e sfoderò la spada. “Certo, possiamo decidere di rimanere qui a morire lentamente di fame e di paura. Oppure possiamo decidere di onorare il nostro Ordine e combattere. E’ probabile che moriremo, ma almeno, anche solo per un giorno, noi potremo essere gli eroi che abbiamo sempre voluto diventare. E magari prima o poi un bardo cieco canterà le nostre avventure per scaldare i cuori nelle lunghe notti d’inverno. A voi la scelta.

Un lungo silenzio seguì le parole di Donna. Poi, lentamente, tutti si rialzarono, sistemarono armi e armature e lasciarono il riparo verso il loro destino.

L’ Orcus li aspettava al varco ma Myra era pronta e il suo braccio non tremò quando alzò lo scudo per parare un formidabile colpo del suo martello. L’impatto fu così forte da scagliarla lontano e Jena si ritrovò faccia a faccia con il demone. Sapeva di doversi allontanare per poi lanciare il suo raggio di gelo da una distanza di sicurezza, ma la magia del castello la ancorava al terreno e fluiva dentro di lei come un fiume in piena.

La bacchetta bruciava in modo insopportabile nella sua mano e lei la lanciò istintivamente contro l’Orcus, mandandola in frantumi e liberando un’enorme quantità di energia arcana che aprì uno squarcio tremendo sul petto del demone. Halina ne approfittò per stampare il suo sigillo astrale sulla ferita, in modo che non potesse richiudersi. Le lame di Jord la allargarono facendola sanguinare e Donna si lanciò sul bersaglio con un balzo poderoso. Per un attimo rimase sospesa nell’ aria come se volasse, poi atterrò sulle spalle del mostro e affondò la sua spada nella ferita fino all’elsa. L’Orcus barcollò avanti e indietro, poi si afflosciò senza vita in un informe ammasso maleodorante.

Una volta tornati alla fortezza della gilda, il Gran Maestro aveva allestito una splendida cerimonia funebre per Orin e si era congratulato con loro per aver messo la bacchetta fuori circolazione. “Non nego che mi sarebbe piaciuto studiare i suoi poteri, ma un potere troppo grande può corrompere chiunque ed è molto meglio che la sua fonte sia andata distrutta”.

A tutto questo pensava Jena mentre sorseggiava la sua birra nella taverna di Daggerford. No, non avrebbe detto a Gortan e compagni che la bacchetta non esisteva più. In fondo, era sempre possibile che qualche frammento si fosse salvato dall’ esplosione e un frammento della bacchetta degli Orcus rimaneva comunque un manufatto molto prezioso da conquistare. E poi, forse tutti i talismani e i graal di questo mondo sono solo un pretesto per abbandonare le nostre comode fortezze e inseguire incerti sogni di gloria.

Levò il boccale e finalmente ruppe il suo silenzio per esclamare “Alla vostra prossima impresa, avventurieri”.
 
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view post Posted on 11/8/2017, 14:30
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Molto bello, complimenti ^^
Abbiamo tanti scrittori in gilda :)
 
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